Sandra Bonsanti trasforma i ricordi di famiglia in cronaca del Novecento. Lei lo chiama «il librino». I nipoti ventenni venuti a trovarla per l’estate rispondono «è un librone, nonna », e fanno il gesto discreto di aiutarla a salire le scale ripide della vecchia casa.
Lei, discrezione sovrana, allontana il loro braccio poi a voce più alta e subito fiorentina «macché, è solo un librino. L’altro, quello che devo scrivere ora a settembre, quello sì…». Perché è sempre il prossimo, il lavoro migliore. Il meglio resta sempre da fare. «Ottant’anni ci ho messo, a scrivere questo libro», dice Sandra Bonsanti, autrice delle più importanti cronache politiche del Novecento e testimone diretta del secolo breve. Lei stessa memoria viva del tempo. Ma, scrive, «la mia storia non aggiunge niente. Aver vissuto allora non trasforma in testimoni della storia». Decine sono gli episodi domestici attraverso i quali si affaccia la Storia. Il soldato tedesco che, ubriaco, prende in braccio Sandra bambina e la porta via dalla madre, per strada, in mezzo ai fuochi e agli spari dell’ultima battaglia alla vigilia della Liberazione. L’ingegner Gadda che aiuta la bimba a fare il compito di matematica per la classe elementare e la maestra che con un rigo rosso lo boccia: è tutto sbagliato. Montale che si traveste per far star buono il fratellino Giorgio. Alessandro Bonsanti che per salvare le carte porta tutta la famiglia a vivere gli ultimi giorni di guerra nei sotterranei di Palazzo Strozzi occupato dai tedeschi. Il rogo, quel rogo domestico di lettere di Gadda, e di chissà chi altro, di cui non ci si è mai dati pace, a casa Bonsanti.
(Sintesi redatta da: Linda Russo)