Con l’uscita dal lavoro decade la routine ma si dissolve anche l’agenda dei colleghi, si conquista la libertà ma spetta a noi ridare un ritmo alle giornate e - non ultimo per importanza - ridefinire chi siamo.
Di sicuro passare da una vita troppo piena al relax può essere un trauma con effetti sul tono dell’umore e non solo. Per gli scienziati, quando l’ambiente è meno ricco di stimoli, abilità mentali e cervello ne risentono. Se portiamo avanti principalmente attività routinarie, acceleriamo l’invecchiamento.
Al contrario, se ci manteniamo attivi (anche a livello sociale) risentiremo meno dei cambiamenti fisiologici, e ci sentiremo meglio. Per questo è fondamentale un ambiente stimolante e l’abitudine di misurarsi con attività diverse e nuove, che ci mettano di fronte alle piccole “sfide cognitive” che favoriscono, poi, la neurogenesi.
Chiudersi in un ambiente povero di interessi e relazioni, in cui ci si può anche sentire soli, può innescare un meccanismo che, a lungo termine, può rivelarsi dannoso per la salute quanto il fumare, con il rischio di far aumentare le probabilità che si sviluppino patologie neurodegenerative. Ecco perché il tempo della pensione dovrebbe coincidere con un altro «lavoro»: quello di costruire una «impalcatura» che consenta al cervello di reagire all’avanzare dell’età e compensare, il più a lungo possibile, le perdite fisiologiche a livello mentale. Imparare cose nuove, accettare la sfida di avvicinarsi alle tecnologie all’inizio è faticoso, ma favorisce la plasticità del cervello. Ne sono un esempio i cruciverba: passatempo molto utile, ma quando si diventa abili a risolverli non hanno più la stessa funzione. A quel punto, sarebbe meglio fare anche altro, imparare a giocare a scacchi o fare un corso di fotografia, in altre parole affrontare attività che ci stimolino e ci “obblighino” a implementare nuove modalità/strategie per affrontarle e portarle a termine.
La società non sempre è amica degli anziani, ma all’idea di sottofondo che rende accettabile chi è giovane, bello, performante, si possono contrapporre i valori esclusivi dell’età matura. Gli anziani riescono a regolare le proprie emozioni, a differenza dei giovani, chi ha più di settant’anni in media riporta, poi, un maggior benessere psicologico rispetto ai nipoti 20enni. Si potrebbe dire una rivincita della vita, anche se gli scienziati delle università di Melbourne (Australia) che l’hanno osservata preferiscono chiamarla La Curva a U della felicità: il benessere psicologico è alto intorno ai 20 anni, c’è una deflessione tra i 40 e i 50 anni (la crisi di mezza età) per poi risalire toccando il massimo tra i 60 e i 70 anni. Giusto all’età in cui si va in pensione.
(Sintesi redatta da: Anna Costalunga)