Come per il tumore, anche per la malattia di Alzheimer il futuro passa attraverso l’immunoterapia mirata e utilizzata ultra-precocemente. Già 25 anni prima della diagnosi clinica, nel liquor, il liquido che bagna il midollo spinale, si osserva un basso livello di proteine beta-amiloide.
E 15 anni prima si possono rilevare altri indici di futura patologia, dagli elevati livelli di proteine Tau fino alla rilevazione di amiloide grazie alla Pet con traccianti mirati, e alle alterazioni dell’ippocampo, particolare area cerebrale, con la risonanza magnetica ad alta risoluzione. Lo dicono i dati dello studio Dian (Dominant Inherited Alzheimer Network) su soggetti sani e giovani portatori di mutazioni genetiche che causano e fanno esordire la malattia intorno ai 50 anni. Il problema, però, è un altro: sapendo chi andrà incontro al quadro, come possiamo agire? Ed è qua che, purtroppo, casca l’asino. O meglio: la scienza fatica, ma avanza, anche tra mille fallimenti, alla ricerca di una prospettiva di cura.
(Sintesi redatta da: Linda Russo)