La pandemia mostra la necessità di un modello di sanità territoriale più capillare e continuativo. Al contempo, si valutano anche alcune criticità del sistema delle Rsa. Tutti elementi che convergono verso una riflessione sulla condivisione abitativa in piccole comunità, con persone autosufficienti anche se anziane, organizzate su reciproco aiuto, sussidiarietà delle comunità locali e assistenza del servizio sanitario nazionale.
In Italia gli over 65 rappresentano oltre il 20% della popolazione e i genitori che vivono più a lungo non potranno sostituire i figli che non nascono più, se non continuando a lavorare. È perciò ragionevole pensare che il bene immobile esistente è razionalizzabile, parzialmente condivisibile - sempre nel rispetto della privacy - e da destinare alla migliore utilizzazione.
Molti i benefici raggiungibili: anzitutto l’aumento della capacità di acquisto di una pensione modesta, godendo di una più efficace assistenza attiva da parte del servizio sociale. A ciò si aggiunga la possibilità di vivere in autonomia nei propri spazi, godendo di una maggiore socializzazione, evitando ospedalizzazioni inutili, con l’amicale controllo di un mediatore sociale, che settimanalmente visita e verifica le condizioni di vita condivisa.
Il maggior protagonista del silver cohousing è l’ente locale, che dovrebbe anche garantire la corretta gestione dei rapporti proprietari/ospiti. Analizzando i dati della realtà italiana, si scopre che le famiglie unipersonali over 75 sono oltre 2,3 milioni, che oltre il 30% degli anziani vive da solo in case di proprietà e che oltre il 60% degli anziani che vivono soli possiedono un immobile con più di 4 vani. La maggior parte delle abitazioni però risale a prima del 1965 e non ha subito manutenzioni. Oltre a ciò va considerato il basso importo della maggior parte delle pensioni e il costante aumento della domanda di assistenza sociale e sanitaria in uno scenario di rapido invecchiamento.
Circa l’80% del bilancio mensile di un pensionato è speso per casa, bollette e spesa quotidiana. Dunque il silver cohousing si pone come uno strumento consono alle nuove esigenze, attraverso la costruzione di comunità residenziali nelle quali i singoli soggetti collaborano, coabitano e condividono un obiettivo. Alla base però - appunto - c’è la possibilità di ottimizzare l’uso del patrimonio immobiliare urbano del ventesimo secolo e in particolare del secondo dopoguerra. Alloggi intorno ai 100 metr quadri che permetterebbero di realizzare 2-3 unità autonome, oltre a uno spazio condiviso. Studi confermano che per ogni nucleo di condivisione, si può generare un risparmio personale di 352 euro mensili per nuclei di 2 persone. Risorse che incrementano la qualità della vita, attivano i consumi e garantiscono un’ottica di riduzione dell’ospedalizzazione nei casi non acuti. Si pensi che una mensilità di pensione sociale è inferiore al costo di una giornata di ospedalizzazione. Adottare una politica di questo tipo avrebbe ricadute certamente positive.
A livello nazionale, solo utilizzando il 5% o il 10% del patrimonio in tal modo liberabile, si reimmetterebbero nel mercato da 100mila a 200mila alloggi, oggi occupati da un anziano solo che decida di condividere. Gli effetti positivi andrebbero anche a interessare le entrate per lo Stato, ad esempio con l’IVA sui consumi generati in prodotti di consumo che potrebbe arrivare a 200 milioni di euro. Tale approccio favorirebbe inoltre la riqualificazione del patrimonio edificato, adattandolo alle esigenze di completa fruizione, al risparmio e all’efficientamento energetico e sociale.
Si prevedono due tipologie di intervento. Nelle aree urbane, si può agire abbattendo e riedificando edifici con modalità sostenibili, rinaturalizzando e riorganizzando gli spazi e rifuggendo così da nuovi disordini urbanistici. Nei borghi e nei territori, cioè nel 70% della superficie nazionale dei comuni fino a diecimila abitanti, si possono produrre benefici concreti e tempestivi, attraverso il ripopolamento e l’efficientamento del patrimonio in una maglia rurale di relazioni, autoproduzioni e condivisioni sociali e vitali. Qui l’azione è essenziale poichè occorre fortemente favorire il ripopolamento (presto avremo un anziano ogni tre persone e tre anziani per ogni bambino) con politiche di insediamento“omeopatico” di nuovi cittadini, per il futuro anche con anziani che potranno lasciare periferie metropolitane insane e costose. Peraltro si favorirebbe in tal modo il ritorno al lavoro in agricoltura, poichè riutilizzando anche solo un quarto delle superfici abbandonate in vent’anni, avremo 125.000 aziende di 12 ettari.