La vita si è allungata e con essa anche la vecchiaia è divenuta più estesa e sfaccettata, imponendo alla ricerca sociale, alla politica e al sindacato una ridefinizione del ruolo economico e sociale degli anziani. Anche per questo nell’ultimo quindicennio le pressioni per un allungamento della vita lavorativa si sono imposte nel discorso pubblico, tendendo ad oscurare le numerose ragioni che nel nostro paese si frappongono alla realizzazione di questo obiettivo, non ultimi la persistente marginalizzazione della manodopera adulta e il ricorso delle imprese alle uscite anticipate. Non solo. Nella stessa società i profili della vecchiaia – anagrafico, biologico, sociale, funzionale – tendono a diversificarsi in base alle condizioni di salute, alla regolazione istituzionale del corso di vita, allo status. Per questo le lunghe durate lavorative (ovvie e in qualche misura «irrinunciabili» per le fasce della popolazione più in alto nella scala sociale e professionale) sono divenute argomento ricorrente dei dibattiti sulla riforma del welfare con termini evocativi quali attivazione e occupabilità. Meno incisivi i richiami per un ruolo socialmente utile degli anziani, che comunque rappresentano la componente generazionale più consistente nel volontariato e nelle attività partecipative.
Un apporto dato in un contesto regolativo e di offerta pubblica ancora da sviluppare, che ancor oggi in Italia vive largamente di una capacità organizzativa scarsamente incentivata. Il libro raccoglie e rielabora una fitta serie di risultati di ricerca realizzati dall’Ires grazie alla costante collaborazione con lo Spi e con altri istituti e network di ricerca. Dalle analisi pubblicate emerge preoccupazione per una nuova declinazione del rischio sociale della «seconda metà della carriera», mentre si sottolinea il ruolo di pubblica utilità svolto dagli anziani attraverso le attività volontarie e partecipative. (Fonte: www.ediesseonline.it)